Perché Milano è la capitale del Razionalismo?

Il Grattacielo Pirelli di Milano è un esempio di architettura razionalista

A quelli che sostengono che a Milano non c'è niente da vedere (a parte il Duomo e il Castello) si potrebbe rispondere che è una delle capitali del Razionalismo. È costellata di opere di maestri che hanno eccelso in questo stile architettonico. Da Piero Portaluppi a Vico Magistretti, da Giovanni Muzio a Gino Pollini, sono molte le archistar di questa corrente che hanno progettato edifici che possiamo ammirare facendo una passeggiata per Milano. Chiese, palazzi, case, grattacieli. Addirittura quartieri.

MILANO E IL RAZIONALISMO

Ma perché esiste questo connubio felice tra Milano e il razionalismo? Innanzitutto, va detto che qui hanno sempre operato grandi architetti. Alcuni nomi: Bramante, Tibaldi (che, secondo don Vincenzo Cavenago, autore del libro Il Lazzaretto-storia di un quartiere di Milano, andrebbe chiamato Pellegrini), Piermarini. Di quest'ultimo troviamo segni in molte parti del centro.

Torniamo al razionalismo e vediamo perché è uno stile che caratterizza il paesaggio milanese.

Il Gruppo 7

Tutto inizia con Il Gruppo 7, un collettivo di ex studenti di architettura che si erano laureati al Politecnico di Milano fondato nell’ottobre del 1926 (lo stesso anno di San Siro). Dobbiamo però dire che alcune opere antecedenti vengono considerate appartenenti a questo stile. Per esempio, secondo alcuni, la Ca’ Brutta di Giovanni Muzio (1919-1922).

Ne facevano parte Luigi Figini, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnoli. Ubaldo Castagnoli l'anno successivo se ne andò e al suo posto arrivò Adalberto Libera.

Nel dicembre del '26 il Gruppo 7 sulla rivista Rassegna Italiana pubblicò il Manifesto del Razionalismo italiano. Eccone un passo.

Tra il passato nostro e il nostro presente non esiste incompatibilità. Noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma, assume aspetti nuovi, sotto i quali pochi la riconoscono».

Scelsero questo giornale perché nei mesi precedenti aveva ospitato dei loro articoli grazie ai quali avevano iniziato a farsi conoscere. In seguito i razionalisti scrissero soprattutto su Casabella,.

Nel Manifesto, composto da quattro articoli, esposero quelli che, secondo loro, erano i principi della nuova architettura. Vediamone un paio.

  • L’apertura verso l’utilizzo di tecnologie innovative come il cemento armato (insieme all’acciaio, al ferro e al vetro).

  • Il contributo al cambiamento della società.

    (Fonte: Domus).

Un’altra caratteristica dell’architettura razionalista è la sintesi dei materiali.

Il Gruppo 7 si rifaceva al Modernismo, al Deutscher Werkbund, ai costruttivisti russi, al Bauhaus tedesco, al De Stijl olandese, al Cubismo francese.

Tra i loro “maestri” troviamo Le Corbusier (in particolare, per il libro Vers une architecture, uscito nel 1923), Ludwig Mies van der Rohe e Walter Gropius.

Tuttavia, sostenevano che questi modelli andavano adattati alle realtà locali.

Avevano un atteggiamento simile anche rispetto alla classicità. Essa, dicevano, non andava intesa non come riferimento mimetico a un determinato periodo storico, rinascimentale o altro, ma una classicità in senso atemporale, come la volontà di cercare un ordine, una misura, una modulazione che rendano le forme architettoniche chiaramente percettibili alla luce del sole e coerenti tra loro, cioè parti di una stessa unità.

È il senso della frase citata prima (Tra il passato nostro e il nostro presente non esiste incompatibilità. Noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma, assume aspetti nuovi, sotto i quali pochi la riconoscono».

Invece, presero le distanze dal Futurismo.

Nel 1927 Terragni presentò le sue prime opere alla Biennale di Monza, l’antenata della Triennale di Milano.

Nel 1928 il Gruppo 7 aderì al MIAR (Movimento italiano per l'architettura razionale).

Con il tempo, ne entrarono a far parte altri membri.

Sempre nel 1928, si svolse a Roma la Prima Esposizione italiana di Architettura Razionale, organizzata proprio da questo gruppo e patrocinata dai sindacati nazionali fascisti degli architetti e degli artisti

Già, il Fascismo. Il rapporto tra il Regime e il Razionalismo è complesso. Infatti, da una parte abbiamo opere progettate in questo stile architettonico. Per esempio, le Casa del Fascio di Terragni o la parte moderna di Palazzo Isimbardi (Muzio). Ma dall’altra, gli venne preferito quello monumentale e roboante di Piacentini (ne è un esempio il Palazzo di Giustizia di Milano). Al contrario, il Razionalismo tende a essere discreto, misurato e funzionale e, in generale non ama gli eccessi. Per fare un esempio, Magistretti non amava le decorazioni di puro abbellimento e diceva che ogni elemento deve avere una funzione pratica.

La crisi è già evidente dopo pochi anni.

Ecco quello che scrivono Wikipedia e altri siti del settore.

All'esposizione del 1931 a Roma l'impatto fu molto forte e apparve subito chiaro che le opere razionaliste mal si adattavano a un regime autoritario. Le polemiche che ne nacquero con i sostenitori della vecchia "accademia", che poi erano la maggioranza, generarono molte defezioni nel MIAR, tanto che nel dicembre del 1932 il suo segretario Libera fu costretto a sciogliere il movimento.

Un’altra causa fu la nascita sindacato fascista del RAMI (Raggruppamento architetti moderni italiani)

A questo punto gli architetti di questo movimento e di questa corrente si rivolsero soprattutto al pubblico privato.

Infine, va precisato che non tutti gli esponenti del Razionalismo milanese appartennero al Gruppo e al Miar. Ad esempio, Ponti, Magistretti, Muzio, Albini, Bottoni, Portaluppi e il BBPR. Molti di loro hanno operato anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, hanno progettato opere che troviamo in varie città del mondo.

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